La difesa dei falsi diritti e la difficile applicazione di quelli reali
Sono apparsi in questi giorni in città dei manifesti della Onlus Provita e Famiglia che recitano, testualmente: Difendiamo il diritto di non abortire!
Sostengono inoltre che “ogni anno migliaia di donne sono di fatto costrette ad abortire per abbandono, solitudine e mancanza di aiuti sociali, economici, morali e psicologici”-
Si mescola un po’ di tutto, gridando allo scandalo. Si chiede di difendere un diritto che in realtà nessuno nega, perché nessuno “costringe” una donna ad interrompere una gravidanza, neanche in caso sia in pericolo la sua vita.
Mettendo in fila un po’ di dati, troviamo che nel 2020 le interruzioni volontarie di gravidanza (così si chiamano, perché occorre esplicitare se un aborto è spontaneo o procurato) sono state 66.413, con una diminuzione del 9,3% rispetto all’anno precedente. Di queste IVG il 35,1% è stata di tipo farmacologico. Nell’elenco dei numeri possiamo anche aggiungere quello degli obiettori tra gli operatori: 64,6% dei medici ginecologi, 44,6% degli anestesisti, 36,2% del personale non medico. Dati successivi non sono ad oggi disponibili.
L’interruzione volontaria di gravidanza, non è mai ridondante ricordarlo, è un diritto.
Esiste una legge che lo prevede, la 194/78, che non è, come descritto dalla vulgata, sull’aborto, ma che norma “la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Una legge che parla di procreazione volontaria e responsabile e di consultori. Consultori che dovrebbero informare ed assistere donne e uomini, ma che sono stati sempre più depotenziati o peggio chiusi.
Per non parlare del diritto ad interrompere una gravidanza, che nessuna donna affronta a cuor leggero, perché è del suo corpo che si tratta. Diritto davvero complicato in un paese in cui i dati di obiezione sono quelli che ho riportato prima.
Lo stesso personale che, senza voler assolutamente accusare una categoria, ma riprendendo testimonianze non così infrequenti, taccia talvolta le partorienti e neo madri, diciamo così, di isteria, sottovalutandone o ignorandone le paure e richieste ed agendo in modi sbrigativi che vengono vissuti come brutali, tanto da aver generato il concetto di violenza ostetrica. O quello che con lo stesso stigma lascia un bambino nel letto di una madre stremata dal parto, con le conseguenze che abbiamo letto alcuni mesi fa. Argomento che per qualche giorno ha coinvolto massicciamente media e social, salvo poi scomparire dai radar.
Cosa che accadrà a brevissimo anche per il caso del bambino lasciato dalla madre nella culla alla Clinica Mangiagalli. Una madre ha scelto di partorire quel bambino, ma per motivi suoi, che non starebbe a nessuno sindacare, ha deciso di non crescerlo. Anche qui però titoli, critiche ed opinioni non richieste, come se una scelta così importante fosse in fondo un capriccio.
Tutte queste donne hanno il diritto di poter scegliere, essere ascoltate ed accettate nelle loro scelte.
Tutte queste donne, e con loro gli uomini, avrebbero il diritto di essere educate ad una sessualità responsabile. Avrebbero il diritto di conoscere le forme di contraccezione e poterle utilizzare, di poter accedere in tempi rapidi e con costanza a consultori efficienti, il tutto gratuitamente.


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