Uomo che scrive

Era altro e non lo abbiamo capito

Semplicemente non abbiamo capito.

Il signore con i capelli bianchi, che verga il proprio diario con la sua penna stilografica, ha scritto un breve racconto estivo in parte satirico sulla incomunicabilità tra generazioni e sulla ineluttabilità del ricambio generazionale.

Perché non può essere altrimenti.

Troppo macchiettistiche le descrizioni.
Da una parte il signore si descrive così “Io indossavo, malgrado il caldo, un vestito molto stazzonato di lino blu e una camicia leggera. Avevo una cartella di cuoio marrone dalla quale ho estratto i giornali: il Financial Times del weekend, New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica. Stavo anche finendo di leggere il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust e in particolare il capitolo Sodoma e Gomorra“. Un personaggio troppo blasé e snob per essere reale.
Dall’altra, il suo teorico vicino di posto ed i suoi amici: “T-shirt bianca con una scritta colorata, pantaloncini corti neri, scarpe da ginnastica di marca Nike, capelli biondi tagliati corti, uno zainetto verde. E l’iPhone con cuffia per ascoltare musica. Intorno a noi, nelle file dietro e in quelle davanti, sedevano altri ragazzi della stessa età, vestiti più o meno allo stesso modo: tutti con un iPhone in mano. Alcuni avevano in testa il classico cappello di tela con visiera da giocatore di baseball di colori diversi, prevalentemente neri, e avevano tutti o le braccia o le gambe o il collo con tatuaggi piuttosto grandi. Nessuno portava l’orologio.

Ammetto che mi sfugge il senso della particolare riprovazione sul non portare l’orologio. 

È sintomo di inciviltà? Se il diavolo si nasconde nei dettagli, forse il lanzichenecchismo (si può dire?) sta in questo particolare. O forse nel loro parlare “ad alta voce come fossero i padroni del vagone, assolutamente incuranti di chi stava attorno. Parlavano di calcio, di giocatori, di partite, di squadre, usando parolacce e un linguaggio privo di inibizioni”. Oppure nel loro essere chiaramente del nord, come denunciava il loro “accento”.
Ammetto anche che difficilmente ho incontrato gruppi di giovani donne e giovani uomini che parlino sottovoce o a lungo di argomenti, diciamo, colti. Neanche molti gruppi di adulti in realtà, compresi quelle e quelli con i capelli bianchi.
Non lo facevo neanche io a 16 anni, quando ci davamo la voce da un capo all’altro dell’autobus o parlavamo con le amiche di vestiti, cosa fare la sera o del tale o del tal altro.
Immagino anche che pure il signore coi capelli bianchi sia stato giovane, seppur giovane di famiglia altolocata e molto ben educato. Impossibile però che non abbia mai fatto “caciara” con gli amici o non abbia mai parlato di rimorchiare una ragazza.

I cinque lanzichenecchi, acquaforte di Daniel Hopfer
I cinque lanzichenecchi, acquaforte di Daniel Hopfer

Perché poi questi giovani lanzichenecchi più che rumorosi e un po’ sboccati, con interessi apparentemente limitati a calcio e donne, come del resto credo buona parte degli appartenenti al sesso maschile etero e cis in Italia, tutto sommato dalla descrizione sembrano lindi, non esagitati (erano sempre seduti o quasi sdraiati ai loro posti), piuttosto educati e sobri (ammassavano nei vari cestini per la carta straccia lattine di Coca Cola o tè freddo).
I due particolari che mi hanno fatto propendere inesorabilmente per il pezzo di satira sono stati: “Non sapevo che per andare da Roma a Foggia si dovesse passare da Caserta e poi da Benevento. Pensavo di aver sbagliato treno, ma invece è così” che è in modo evidente una critica alle linee ferroviarie italiane.

Ma soprattutto il riferimento ai locali notturni: “andiamo a cercare ragazze nei night”. Presentatemi subito il ragazzo che usa la parola “night” ai giorni nostri, perché è vero che alcuni locali si definiscono ancora night club, ma che dei minorenni li frequentino e li citino mi sembra davvero improbabile.
Per poi finire con il ragazzo più basso ed un po’ acneico che dispensa la propria esperienza in fatto di donne: “Bisogna beccare le ragazze in spiaggia e poi la sera portarle fuori e provarci. La spiaggia è il posto più figo e sicuro per beccare”, quasi un quadretto romantico di altri tempi, stile film balneari anni ‘60.
Il tema, il vero tema è l’incomunicabilità: “Non ho mai rivolto la parola al mio vicino che o taceva ascoltando musica o si intrometteva con il medesimo linguaggio nella conversazione degli altri ragazzi”. Più avanti: “Loro erano totalmente indifferenti a me, alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente, un altro mondo. Io mi sono domandato se era il caso di iniziare a parlare col mio vicino, ma non l’ho fatto”. E chiude: “Arrivando a Foggia, mi sono alzato, ho preso la mia cartella. Nessuno mi ha salutato, forse perché non mi vedevano e io non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani “lanzichenecchi” senza nome”.
Il ragazzo non saluta e non parla con il signore dai capelli bianchi, che pur essendo famoso non viene riconosciuto ed a cui (questo lo aggiungo io) non viene richiesto un selfie, se vogliamo proprio ostinarci a credere che l’io raccontato sia proprio chi ha scritto il racconto. Ma neppure lui, sebbene si sia chiesto se forse era il caso di farlo, parla con loro o li saluta.

Una distanza siderale li divide e nessuno fa un passo per colmarla. 

Il paradigma della incomprensione e incomunicabilità generazionale e della inevitabile predominanza delle giovani generazioni, del nuovo che avanza come si dice, ragazzi e ragazze che hanno in mano il futuro, mentre chi le ha precedute scende dal treno. Con nuove idee, nuovi costumi, nuovi stili. Chi ha i capelli bianchi è destinato a scendere in silenzio dal treno, ma questo accade dai tempi dei tempi. E si può provare fastidio per questo destino, ma è semplicemente la vita.
Ps: non mi addentro nella critica da “anatomista” del prof. Finotti sempre su La Repubblica, che presume dalla descrizione dei ragazzi che costituiscano un branco e rappresentino il nuovo fascismo. Un bel concentrato di stereotipi e pregiudizi, seppur da una cattedra prestigiosa. Parere di un’umile e non illustre giornalista.

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Esmeralda Ballanti

Classe 1963, giornalista pubblicista, vivo nella bassa bolognese. Diploma di ragioneria, segretaria di redazione e collaboratrice del periodico Nuovo Informatore.

Femminista, polemica, ho svariate passioni ed interessi che spesso non ho sufficiente tempo di coltivare. Ma si può sempre migliorare, in tutto.

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