In nome della madre

In nome della madre

Mi ha lasciato estremamente perplessa la recente proposta del Senatore Dario Franceschini di dare in Italia alla progenie il cognome della madre in modo automatico. La sua dichiarazione è stata: “Dopo secoli in cui i figli hanno preso il cognome del padre, stabiliamo che prenderanno il solo cognome della madre. E’ una cosa semplice ed anche un risarcimento per una ingiustizia secolare che ha avuto non solo un valore simbolico, ma è stata una delle fonti culturali e sociali delle disuguaglianze di genere”. 

Non vorrei mettere in dubbio la buona volontà del Senatore, ma il suo pensiero trovo rifletta tutti gli stereopiti della nostra società ed un pensiero tendenzialmente maschile e maschilista.

Partiamo da un assunto banale: il cognome della madre è quello del proprio padre, quindi? dove e come questo risarcirebbe un’ingiustizia secolare? 

La stessa definizione di secolare è assolutamente riduttiva, da momento che già dall’epoca romana le donne venivano definite dalla propria gens, dall’essere figlie di o mogli di. 

La disuguaglianza di genere è ben altra, partendo ad esempio dall’ambito di appartenenza del Senatore, quello politico. I dati Viminale raccolti dal report Sesso è potere 2024 ci dicono che nell’84,7% dei comuni il sindaco è un uomo, quindi la massima carica è femminile solo nel 15,3% dei casi, mentre in Parlamento raggiunge il 33%. Dato a cui possiamo aggiungere che, come rilevato da Youtrend, non solo le donne che esercitano il diritto di voto sono percentualmente meno degli uomini, ma soprattutto solo il 53% indica di capire la politica contro il 73% della popolazione maschile. Anche senza essere degli esperti, appare evidente come questo possa condizionare la partecipazione attiva alla vita politica e contribuire a determinare il gap di rappresentanza, oltre che l’ennesimo esempio dei bias di sottovalutazione femminile. 

Un divario molto ampio anche se guardiamo al mondo del lavoro. Il Gender Policy Report 2024 dell’Inapp (l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), riporta come nel 2023 il tasso di occupazione femminile abbia raggiunto il 52,5%, con un più 1,4% rispetto al 2022, ma ben sotto della media Ue del 65,7%, Gli uomini hanno invece un tasso di occupazione del 70,4%. Una disuguaglianza che riguarda anche la povertà lavorativa, ma soprattutto economica:  la retribuzione oraria femminile è mediamente inferiore di oltre il 10% a quella maschile. Se sommiamo questa differenza a carriere spesso discontinue a causa anche dei lavori di cura che gravano per i tre quarti sulle donne, arriviamo ad un divario pensionistico pesante: i dati INPS parlano di una differenza media del 36% di importo a sfavore della popolazione femminile, disuguaglianza purtroppo in crescita.

Tornando alla proposta del Senatore Franceschini, non è il pannicello caldo del cognome della madre che risolverà il problema del gender gap e non risarcirà nessuna di noi dalle disuguaglianze che incontriamo ogni giorno. 

Ma soprattutto, se era un modo per tornare alla ribalta dei media, sarebbe stato opportuno trovare un altro sistema, che non banalizzasse per l’ennesima volta il tema della parità di genere.

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Esmeralda Ballanti

Classe 1963, giornalista pubblicista, vivo nella bassa bolognese. Diploma di ragioneria, segretaria di redazione e collaboratrice del periodico Nuovo Informatore.

Femminista, polemica, ho svariate passioni ed interessi che spesso non ho sufficiente tempo di coltivare. Ma si può sempre migliorare, in tutto.

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