Paola Cortellesi protagonista, regista ed attrice in C'è ancora domani

C’è un domani?

Ringrazio Paola Cortellesi per il suo film “C’è ancora domani”, di cui non voglio parlarvi dal punto di vista tecnico, ma per il contenuto.
Ha dato spazio, volto e voce alle tante donne che hanno portato avanti le case italiane durante la seconda guerra mondiale e nel periodo successivo, arrabattandosi spesso per portare a casa qualcosa da mettere in tavola per la famiglia, vestirla, rammendando e riciclando i panni, badando agli anziani; trattate come serve in quella che era la casa del marito. Quelle donne come mia nonna, perennemente con il grembiule addosso, che vedevo sempre intenta a cucinare o pulire.
Alcune erano andate a lavorare, al posto degli uomini impegnati in guerra, per poi ripiombare nel ruolo casalingo a fine conflitto. Altre erano riuscite a conservarlo il lavoro, perché prettamente “femminile”: maestre, commesse, sarte, donne di servizio. Ma in ogni caso in casa ed in società dovevano tacere, non avere una propria opinione o almeno non esprimerla.
Di mia nonna non vi so dire quale fosse il rapporto con il marito, perché mio nonno è morto poco prima che nascessi io e questi erano argomenti non trattati in famiglia, ma fino a non tanto tempo fa era socialmente accettato che il marito alzasse le mani con la moglie e che entrambi lo facessero con la prole, ritenendo le sberle educative. Sberle che in realtà, quando ero alle elementari, dispensava anche la mia maestra, soprattutto nei confronti degli alunni maschi che riteneva indisciplinati.
Fortunatamente la sensibilità è cambiata e molte e molti di noi sono usciti da questo schema.
Non tutte e tutti purtroppo.

Lo schema mentale per cui è l’uomo che comanda e decide in casa non è scomparso.

Men che meno quello che vede come assunto amore uguale proprietà, il “sei mia” che porta ad annientare la donna che esce da questo schema, come per l’ennesima volta ci insegna la cronaca di questi giorni.
Siamo alla vigilia del 25 novembre e per qualche giorno riapparirà sui media la tragica conta delle vittime, la punta di un iceberg della violenza nelle coppie e nelle famiglie.
La storia che il film racconta è drammaticamente triste, perché in realtà non sappiamo se dopo i titoli di coda per la protagonista si apra una via di fuga dalla sua vita familiare o se almeno la figlia riuscirà ad uscire dallo schema della violenza, perpetuata da padre in figlio come una sorta di eredità maschile.
È stato consolante però vedere le sale piene, sentire il tifo del pubblico per Delia, vedere madri con figli e figlie tra il pubblico, coppie di età diverse, tante donne. Se non al cinema, vi invito a guardarlo e farlo vedere alle vostre figlie ed ai vostri figli quando passerà in televisione.
Perché magari anche così pianteremo un altro piccolo seme di consapevolezza. E se non siamo nella situazione di Delia, potremo evitare di essere le vicine che sedute in cortile si guardano quando Ivano (il marito) chiude le imposte, ben sapendo cosa sta per accadere dietro quelle finestre.

Commento

  • Marina

    Complimenti! È il più bell’articolo che hai scritto. Equilibrato, vero e sincero. 👏👏👏

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Esmeralda Ballanti

Classe 1963, giornalista pubblicista, vivo nella bassa bolognese. Diploma di ragioneria, segretaria di redazione e collaboratrice del periodico Nuovo Informatore.

Femminista, polemica, ho svariate passioni ed interessi che spesso non ho sufficiente tempo di coltivare. Ma si può sempre migliorare, in tutto.

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