Libertà, per tutte
Treccani definisce “in relazione a un singolo individuo la libertà è la possibilità di pensare, agire e scegliere secondo la propria volontà, in modo autonomo”.
Viene quindi da chiedersi se in realtà esiste una reale libertà per le persone. Il pensiero, l’azione e le scelte che chiunque compie sono condizionate. Nei totalitarismi in modo coercitivo, nelle democrazie in modo più subdolo e pervasivo. Siamo quotidianamente condizionati: dalla società, dai media, da chi ci circonda.
Le donne lo sono in modo maggiore, anche in quella parte di mondo non soggetta a tirannie politiche o religiose, anche nel nostro Paese.
Negli anni le lotte delle donne hanno piano piano conquistato per tutte spazi di gestione personale, seppure una vera parità sia ancora lontana. In Italia negli ultimi decenni del novecento la legislazione ha sancito queste tappe, partendo dal diritto di voto e di elezione. L’accesso al pubblico impiego, il divorzio, il diritto di famiglia, l’abolizione del delitto d’onore. Nel nuovo millennio la condanna di comportamenti discriminatori nei confronti delle donne, le quote di equilibrio dei generi nei consigli, lo stalking, la legge sul femminicidio.
Ho lasciato per ultima la legge 194 del 1978, quella per la tutela sociale della maternità e interruzione volontaria della gravidanza.
Una legge controversa sin dalla sua promulgazione, soprattutto per un paese a forte matrice cattolica come il nostro. L’unica legge che prevede per il personale sanitario, nel caso dell’interruzione di gravidanza, la possibilità di ricorrere all’obiezione di coscienza. Legge che fu poi sottoposta a referendum abrogativo, che alle urne ebbe esito negativo. La norma prevede un insieme di misure per la tutela della maternità, ma è per tutti quella dell’aborto.
Nonostante la mancanza di una concreta educazione alla sessualità ed affettività nelle scuole e la diminuzione progressiva di fondi ai consultori negli anni, il ricorso alle interruzioni volontarie di gravidanza è sempre minore. Mentre sempre meno donne scelgono di avere figli.
L’inverno demografico italiano continua, inesorabile, e sebbene questo governo si proclami a favore della famiglia, viene fatto ben poco per incentivare le nascite. E sembra che a nessuno interessi il perché.
Un perché che probabilmente interessa la profonda modifica della società italiana negli anni. Un argomento interessante, che riaffronterò.
Torniamo però alla 194 che il Governo sta sistematicamente minando, senza attaccarla direttamente, consapevole che il farlo sarebbe estremamente impopolare.
Si ricorre quindi ad una narrazione incentrata sui diritti del concepito, di cui lo si vorrebbe portatore sin dall’incontro di ovulo e spermatozoo.
Con un emendamento al decreto PNRR è stata ultimamente inserita per le Regioni la possibilità di “avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”. Incuneandosi quindi nelle maglie della legge, si trova il modo per far entrare nei consultori le cosiddette associazioni “pro-vita” e convincere così la donna che vi si reca per abortire a non farlo.
La polemica che ne è nata sta portando alle cronache racconti allucinanti, che trovate facilmente con una semplice ricerca in rete.
Quello che mi chiedo, e vi chiedo, è come si possa pensare di essere credibili raccontando che una donna che si presenta per chiedere di abortire sia convincibile a non procedere con una semplice chiacchierata, un’offerta di denaro o peggio facendole ascoltare il battito del feto. Come se una scelta di questo tipo non fosse meditata e sofferta, come se sottoporsi ad un intervento fosse una banalità.
La scelta autonoma, non condizionata, è la base della libertà. Quella libertà che anche oggi agli Stati Generali della Natalità hanno chiesto a gran voce le studentesse. Ma a noi donne si tenta ancora di negarla, oggi, nella civilissima Italia.


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